Comprendere la morte, accompagnare la vita. La mia esperienza

Dopo due anni, questo mese ho ripetuto il corso esperienziale di formazione con Ange Fey.
Comprendere la morte, accompagnare la vita” non è solo un titolo né uno slogan, ma una realtà con cui entrare in contatto prima di tutto attraverso sé stessi, perché prima di imparare ad accompagnare altri al fin di vita è necessario accompagnare sé stessi lungo la vita.

Quando si è in ascolto e ci si lascia cadere dentro i propri abissi attraversando rovi e scimmie urlanti che accendono i display sui dolori, le paure e le resistenze al cambiamento come naturale accadimento, può accadere che un ad un certo punto della respirazione si venga assorbiti da un profondo silenzio. Qui si può comprendere come la morte ci parli della vita che scorre ed il vivere sia un morire, una trasformazione costante fino al momento d’abbandono del corpo.

Rispetto a due anni fa, questa volta l’esperienza del corso è stata più profonda e consapevole. Mi ha svelato una nuova forma, frutto di ulteriori lutti dovuti alla perdita di parti di me, fisiche e non. Sento ancora le mie cellule elaborare informazioni, perché il corpo ed ogni parte del mio essere hanno ascoltato, si sono nutriti d’un linguaggio soprattutto non verbale e liberatorio. Una falce che recide lacci con il passato, in favore del cambiamento che accompagna la vita verso un nuovo ordine, caotico o composto che sia.

ORDINE. Scrivo questa parola e mi torna in mente il fin di vita di mia nonna Ada, qualche anno fa.

Ero in clinica nel reparto dove mia nonna era ricoverata a causa di un’emorragia cerebrale che, tra la notte prima e la mattina, le aveva paralizzato la parte destra del corpo. Stava con gli occhi chiusi, non poteva più parlare ma si sentiva ogni tanto un rantolo. Lei che era abituata a prendersi cura di sé e teneva all’ordine del proprio aspetto e ambiente, muoveva di continuo il braccio sinistro per sistemarsi la maglia del pigiama ed i capelli.

Quando ha mollato per riposarsi, ho iniziato a tenerle la mano e, dopo averle asciugato la saliva che le usciva dal lato sinistro della bocca, le ho spazzolato i capelli dicendole che la stavo sistemando. Lei ha iniziato ad accarezzarmi le dita della mia mano e, anche se uno dei medici diceva che a volte possono esserci riflessi e movimenti incondizionati, io mi sono resa conto di quanto fossero volute quelle carezze, forse per ringraziarmi e per affetto… gesti che difficilmente aveva in passato espresso per carattere.

Ero io a tenerle la mano o era lei a rassicurarmi?

Anche perché avevo da poco avuto problemi di salute ed avevo ancora stampato il ricordo dello stupore che ho provato quando un giorno mi aveva tenuto il viso tra le mani, felice di vedermi dopo un intervento importante. Non mostrava facilmente i suoi sentimenti.

In quei momenti accanto a lei nel letto, sentivo che eravamo sedute vicine ed ho compreso di averla accompagnata nel momento di taglio degli ormeggi… in ordine. È morta uno o due giorni dopo.

Tagliare gli ormeggi in ordine è importante, ma non sempre possibile. Se però si accompagna la propria vita consapevolmente, si può lavorare sulla qualità dei passi che conducono alla fine “senza più le scarpe”.

Serena Derea Squanquerillo

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