L’importanza di esprimere se stessi

L'importanza di esprimere se stessi

Il dolore soffocato urla, mentre i tuoi demoni ti danzano attorno.

Ho iniziato a pubblicare i miei scritti come atto di guarigione, dopo aver compreso il beneficio che avrei avuto dall’esprimere me stessa per quello che sono.
Prima del tumore nel 2012, ho avuto altri problemi di salute di cui in pochi sanno perché ero solita non condividere e tenevo dentro tutto ciò che non si vede.
Tuttora in pochi sanno dell’esperienza che sto per raccontare, con l’auspicio che possa essere d’aiuto.
Dopo il primo cancro ho invece sentito il bisogno di testimoniare la mia esperienza, soprattutto per facilitare la mia guarigione.
In realtà la prima esperienza che mi ha insegnato l’importanza di comunicare risale al biennio 2003-2004.
Ho imparato attraverso la negazione a me stessa di questo diritto naturale e vitale.

Era un periodo di forti attacchi di panico e di depressione dovuta alla mancanza di amore nei confronti di me stessa. Mi sentivo un “cancro” (pensa un po’)…
Ciò accadeva da tempo ma in quel periodo è stato esasperato da eventi dolorosi e per me troppo frustranti: l’abbandono definitivo dell’università e il susseguirsi di alcune morti in famiglia, di cui una molto tragica.
Da una parte sentivo di aver fallito in vista dei miei progetti futuri, dall’altra non riuscivo ad elaborare tutti quei lutti così facevo finta di niente. Ero satura ed ho iniziato a negare la sofferenza.
Fino ad allora non avevo mai negato i miei problemi e non avevo mai avuto difficoltà a chiedere aiuto. Questa volta è stato diverso. Era TROPPO.
Infatti non mi accorgevo di stare male emotivamente. Una bomba ad orologeria su due gambe.
Finché il dolore compresso, ha trovato il modo di URLARE al mondo la sua esistenza attraverso il mio corpo fisico.
Ho iniziato a perdere peso, così mollavo le zavorre.
All’inizio, sembrava addirittura un vantaggio perché avevo preso qualche chilo.
Fin da bambina avevo sofferto di “fame nervosa” o più precisamente di BINGE-EATING come mi ha spiegato la mia psicoterapeuta. Una compulsione a mangiare di continuo.
Ricordo che nascondevo il cibo in alcune scatole per il timore che qualcuno potesse mangiarlo al posto mio.
Per costituzione, non ho mai avuto una forte tendenza ad ingrassare ben oltre il mio peso-forma, per cui non mi rendevo conto di esagerare.
Semplicemente riempivo i miei vuoti col cibo.
In questo periodo però ho iniziato a invertire la tendenza: non mangiavo quasi più.
Per consumare 2 cucchiai di minestra impiegavo 40 minuti, grondavo sudore.
Di alcuni cibi mi dava la nausea persino l’odore ma non ho mai vomitato perché sapevo dosarmi.
Mi sforzavo di mangiare un po’ alla volta pur di non disabituare il mio stomaco e il mio corpo al nutrimento.
A questo punto mi sono resa conto che qualcosa non funzionava. Mi guardavo allo specchio e non mi piacevo.
Troppo magra, non avevo più i fianchi, le scapole sporgevano più del solito, mi si contavano le costole e le vertebre.
Davanti allo specchio a figura intera, mi sono permessa di vedere ciò che stavo soffocando in me e che il mio corpo mi stava urlando.Dal binge-eating ero entrata in ANORESSIA con un piede e mezzo, come sono solita dire. L’altra metà è stata il mio saggio Grillo parlante che ha dato l’allarme. A quel punto ho urlato “BASTA“.
Ricordo bene la sera in cui distesa ai piedi di mia madre, abbracciavo le sue gambe e piangendo le ho detto «Mamma, ti prego aiutami, sto male!»
Allora con l’aiuto dei miei genitori, della psicoterapeuta, di uno psichiatra e del medico di famiglia ho iniziato un percorso di cura durato 9 mesi, con l’ausilio di psicofarmaci e di una rieducazione a mangiare normalmente.
Avevo la pressione bassa e facevo fatica a stare in piedi per il caldo stagionale.
La parte di me che mi amava davvero, era nascosta in quel mezzo piede parlante che mi ha mostrato l’importanza di esprimere le mie gioie ma anche i dolori più profondi.
Dopo 9 mesi, ho partorito me stessa in una nuova forma e con una nuova consapevolezza.
Ho cominciato a riprendere peso, ho eliminato le medicine ed ho comprato vestiti nuovi, della mia taglia.
Sono intervenuta in tempo, evitando di smettere di mangiare del tutto. Sono percorsi che possono durare anche molti anni.
Da allora, a piccoli passi sono arrivata a condividere con gli altri le mie esperienze e ad aprirmi di più, dando voce ai miei sentimenti.
Il 2012 è stato il giro di boa, quando con il primo tumore ho deciso di testimoniare pubblicamente la mia esperienza per aiutare la mia guarigione e per fare da portavoce per chi non riesce a parlare del proprio dolore, ma vorrebbe. In questo modo la condivisione diventa anche un atto sociale.
Oggi parlo senza blocchi e scrivo di come sono riuscita a comunicare chi sono. Ho aperto un blog e pubblicato due libri monografici. Un tempo non mi sarei data 2 soldi, ora sono un fiume in piena.

Serena Derea Squanquerillo

Foto: me stessa tra il 2003 e il 2004. Avevo 23 anni. Ancora non mi ero resa pienamente conto di stare male.

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