“Amaro in vetro” – Intervista a Davide Carotenuto

“Amaro in vetro” – Intervista a Davide Carotenuto

Oggi pubblico l’intervista a Davide Carotenuto, scrittore e avvocato di Portici, sul suo ultimo romanzo “Amaro in vetro”, edito da La Bottega delle parole. Conosciamolo meglio.

Benvenuto, Davide. Prima di parlare del romanzo, ci racconti un po’ di te e di come è nata la tua esperienza con la scrittura?

Grazie, Serena! È un vero piacere essere in tua compagnia. Devo dire che di me, in genere, parlo davvero poco. Preferisco scrivere a dirla tutta. Ed è così che è nata la mia passione. Da ragazzino, spesso, mi rintanavo nella mia cameretta e buttavo giù tutto quello che mi passava per la testa. A volte pensieri e a volte racconti. A volte pure scarabocchi. Molto dipendeva dal mio stato d’animo del momento. Da “grandicello” ho avuto sempre meno tempo per scrivere per me.

Esercito la professione di avvocato e, come immagini, trascorro gran parte delle mie giornate a scrivere per gli altri. A raccontare le storie di altri. Però un poco di spazio riesco ancora a ritagliarmelo e il mio “Amaro in vetro” ne è la dimostrazione.

Il romanzo “Amaro in vetro” è un’autobiografia. Quanto c’è di reale esperienza personale e da quale presa di coscienza nasce il tuo libro?

Tutte le storie di cui racconto, sono figlie dell’esperienza personale e della vita di tutti i giorni. In “Amaro in vetro”, in particolare, racconto di un periodo alquanto turbolento della mia vita in cui, ad un certo punto, mi pareva davvero che non fossi destinato alla felicità e a quell’incontro che ti cambia l’esistenza.

Ho cominciato a scriverlo nel 2016 per poi concluderlo nel 2021. L’ho scritto di getto e senza mai forzarmi. L’ho scritto raccontando di quello che mi accadeva e basta. E devo dire che lo scorrere delle parole lungo le pagine bianche è stato un bell’esercizio di introspezione. È stato un modo per guardarmi dentro e per cominciare a pormi delle domande nuove, diverse dal solito. Sai, quando una storia finisce e soprattutto quando finisce male, siamo tutti un po’ portati alla demonizzazione dell’altro. Forse perché liquidare la fine di una relazione soltanto come frutto delle colpe altrui o di un destino avverso, aiuta a dormire meglio la notte.

Ecco, diciamo che a un certo punto le classiche frasi fatte non mi sono bastate più. E così ho cominciato a guardare più alle mie mancanze che a quelle altrui. Il mio “Amaro in vetro” vuole essere proprio questo. Un modo per guardare le cose da un altro punto di vista, oscillando tra una lacrima e una risata di gusto.

Perché la scelta del titolo “Amaro in vetro”? Presentaci un po’ la trama e i personaggi.

Ti svelo un segreto editoriale, se così si può dire. “Amaro in vetro” non è il primo titolo che avevo scelto per questo libro. L’avevo intitolato “Prendi un cioccolatino” perché, nelle pagine, torna spesso e prepotente il richiamo alla ritualità che accompagna gli incontri con uno dei personaggi. Il personaggio più importante, cui il libro stesso è dedicato. Sulla copertina, che è stata realizzata su una mia idea da Marina Scognamiglio, una bravissima artista porticese come me, noterai che sul protagonista “piovono” proprio cioccolatini oltre a teste femminili. La dolcezza di un cioccolatino offerto da un’amica fa da contraltare all’amarezza di un caffè preso in totale solitudine al tavolino di un bar.

Ed è così che, poi, è nato “Amaro in vetro”. Non si tratta solo del mio gusto personale nel prendere il caffè quanto, in realtà, del sapore amaro di certe considerazioni che si fanno ad alta voce mentre ci si racconta. So bene che un napoletano che si rispetti dovrebbe prendere il caffè in tazza di ceramica anziché in vetro, per salvaguardarne la temperatura e l’aroma. Ma il vetro, nella sua trasparenza, consente di apprezzarne la densità e la cremosità al primo sguardo. “Amaro in vetro” è proprio questo: è un percorso intriso di malinconia, ma anche di assoluta leggerezza in cui il protagonista, soffermandosi sul perché di certi incontri e di certe disavventure, comincia a porsi domande diverse dal solito per giungere, alla fine del viaggio, a nuove consapevolezze, ritrovando l’acciarino che è in lui.

I personaggi, introdotti sempre con soprannomi che richiamano una peculiarità del personaggio stesso, sono di varia natura. Giusto per citarne alcuni, c’è l’amica “dell’infuso della serenità” con cui il protagonista ingurgita infusi rilassanti per smorzare l’eccesso di caffeina da tribunale, la “donna tanto bella quanto incazzata con la vita” per via di quello sguardo indispettito e diffidente verso gli sconosciuti e, ovviamente, l’amica “del cioccolatino”, che non manca mai di offrirne uno dopo una lunga chiacchierata comodamente seduti sul divano di casa sua. Non voglio spoilerare il racconto di questo viaggio interiore, ma una cosa te la voglio dire: si ride davvero tanto!

       Davide Carotenuto

Nel tuo romanzo c’è una particolare attenzione al mondo femminile, con un’analisi del suo essere “complesso”. Da una parte c’è ironia, ma dall’altra ci sono una riflessione e una presa di coscienza, in cui ognuno di noi può riconoscersi. Qual è il tuo messaggio?

“Complesso” è la parola giusta, ma non soltanto per descrivere l’universo femminile. È tutto molto complesso. È certamente complesso il protagonista, anche con il suo modo di alleggerire un momento triste con una battuta a effetto. Sono complessi, se non addirittura complicati, i rapporti che instaura con i vari personaggi, così come è alquanto complesso individualmente ciascuno dei personaggi con cui interagisce nel corso delle pagine.

Ed è proprio questa la ragione per la quale i personaggi vengono parzialmente descritti o non affatto descritti al lettore, se non attraverso un soprannome che caratterizza un incontro o una ritualità ricorrente. Non volevo che il lettore simpatizzasse eccessivamente col protagonista, magari rivedendosi in alcuni passaggi e vicissitudini, finendo col dare un giudizio negativo a tutto tondo di personaggi, femminili soprattutto, che restano in ogni caso positivi. Perché è proprio attraverso certi incontri ed è grazie a certe delusioni che poi, infine, nasce l’esigenza di mettersi a nudo e di riscoprirsi.

L’aver collezionato, passami il termine infelice, una serie di avventure o disavventure a seconda dei casi, non deve indurre il lettore a sottovalutare l’importanza di questa ricerca affannosa dell’anima gemella e della felicità. Anzi. Il messaggio ultimo è che anche questo serve per capire che non si deve affidare la propria felicità alla sorte o ad un incontro inaspettato. Che non è affatto vero che quando si è soli si sta bene soltanto a metà o che sia una sorta di tragedia greca lo stare da soli. Io ho imparato che quando sono con me, non sono mai solo.

Sono sicuro che in tanti si rivedranno nei racconti del protagonista e mi piacerebbe che alla fine di questo viaggio capissero, come l’ho capito io, di non essere affatto sbagliati e nemmeno sfortunati. Che l’amore non va cercato ossessivamente e tantomeno elemosinato. E che, troppo spesso, non ci si innamora affatto delle persone, ma soltanto dell’idea e dell’immagine che abbiamo di loro nella nostra testa.

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