Per fortuna non mi chiamo Cassandra

Per fortuna non mi chiamo Cassandra

Sto pensando al sogno fatto all’alba di questa mattina.
Mi ha lasciata amareggiata, a disagio e con molte domande.
Soprattutto però mi ha lasciata con la consapevolezza di una variante di realtà che non mi piace affatto, troppo distopica per i miei gusti.

Scena 1

Sono nella mia stanza e mi affretto a prendere tutto ciò che riesco a portare con me, compreso il portatile e quello che mi permetta di comunicare e che mi rammenti la mia IDENTITA’.

Sento in lontananza il rumore di un elicottero.

Guardo verso la finestra, la serranda è tirata giù ma attraverso alcune stecchette alzate in alto vedo entrare una luce artificiale proveniente da un mezzo robotico che punta verso l’interno.

Mi rendo conto che stanno cercando persone rimaste all’interno e voglio sbrigarmi per scappare e non farmi prendere.

Questa scena si interrompe qui nella mia memoria ma ricordo bene che non voglio essere trovata.

VUOTO –  cambio di scena.

Scena 1

Sono dentro  a una struttura simile a un centro commerciale.

C’è molta gente oltre a me e insieme siamo su una scala mobile che ci porta verso l’alto.

Arrivata in cima, vedo persone muoversi per negozi e altre in accappatoio,  camminare in coppia verso una sorta di Spa.

Alla mia destra trovo del personale che dà indicazioni a chi arriva, con un sorriso gentile ma palesemente sintetico e poco autentico.

Al di là di questo sembra tutto normale, ma mi sento fuori posto. Sento che c’è qualcosa di stonato.

D’improvviso mi trovo proiettata fuori dal palazzo e ho la sensazione di essere uscita insieme ad altri per necessità e scelta.

Mi chiedo se sia il caso di rientrare, ma mentre muovo un passo mi accorgo che l’ingresso è blindato e che davanti all’entrata ci sono elementi del personale, tra cui riconosco un volto familiare.

Dietro di loro, banchetti dove chi entra viene registrato dopo essere stato “verificato” e autorizzato a entrare.

In pratica, sono difronte a “controllori” addetti ad accogliere chi arriva in fila per essere sottoposto ad alcuni test che decidono se sia adeguato ad accedere a quel Paese dei Balocchi, dove tutto è a disposizione e a portata di mano.

“Decido di provare a rientrare? Sono entrata così la prima volta? “.
Mi fermo perché mi accorgo di essere in una situazione alienante.

La scena finisce così  e mi sveglio da questo sogno con una sensazione di disagio, ricordando esclusivamente questi dettagli.

Faccio mente locale, ma non riesco a ricordare l’ordine temporale tra le due scene che ho dunque scelto di chiamare entrambe “Scena 1“:

sto raccogliendo le mie cose per scappare via, ma vengo presa per essere condotta in quello stabile delle “meraviglie” per poi riuscire ad andarmene contrariata?

Oppure sto in quel palazzo e una volta riuscita a uscire, corro a casa a prendere le risorse utili per non essere presa mentre cercano me e gli altri che non vogliono più entrare?

A questo punto non ha importanza perché  svegliandomi dal sogno me ne sono comunque andata, consapevole di non trovarmi bene nelle vesti di quel personaggio fuggitivo e trascinato dalla scala mobile verso un destino povero.

Decisamente una variante di realtà che intendo evitare.

Per fortuna non mi chiamo Cassandra

Derea

 

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