“Ladri di lucciole “: intervista a Luca Leoni

Luca Leoni - Ladri di lucciole.

“Ladri di lucciole”, il nuovo libro dello scrittore veliterno

Il 10 febbraio 2023 è uscito il nuovo libro dello scrittore veliterno Luca Leoni dal titolo “Ladri di lucciole, un atto e mezzo di teatro” edito da Controluce. Si tratta di un esperimento con finalità teatrali, costruito su basi letterarie di tipo autobiografico.

Facciamocelo raccontare dall’autore stesso in questa intervista rilasciata al giornale locale “l’Artemisio” di Velletri, con cui collaboro.

  1. Luca, tu definisci “Ladri di lucciole” un esperimento con finalità teatrali. Nello specifico, in cosa questo tuo nuovo libro si differenzia dai tuoi libri precedenti?

Fino all’esperimento di questo testo teatrale avevo pubblicato una raccolta di racconti autobiografici e monografie storico-artistiche, la più recente delle quali risale all’estate scorsa, ossia ‘Ritratto d’ignoto committente‘, che ha anche un taglio letterario. ‘Ladri di lucciole’ deve la sua genesi alla proposta dell’attore e regista Gennaro Duccilli, nello scorso autunno, di farmi gestire quest’anno un tributo allo scrittore gallese Dylan Thomas, del quale ricorre il 70° della morte. Proprio cercando tra le opere di Thomas, molte delle quali ambientate nel suo Galles, mi è venuto in mente di scrivere qualcosa di nuovo e ambientato nella mia Velletri. È il mio primo esperimento teatrale, ma con solide basi sui miei racconti autobiografici contenuti nella raccolta ‘Righi sulla cenere’ del 2013.

  1. Perché hai scelto questo titolo? Chi sono i ladri di lucciole?

Il primo titolo era addirittura in dialetto, “Guazza de maccia” ossia “Rugiada di bosco”, poiché ambientato nei luoghi della famiglia d’origine di mia madre, poco lontano dall’ex ‘San Raffaele’ sulla Via dei Laghi e quindi praticamente nel bosco del monte Artemisio. ‘Ladri di lucciole’ deve il suo titolo ai piccoli, meravigliosi insetti che illuminano le estati dei miei ricordi e che tutti noi bambini sognavamo di ‘rubare’. I ladri di lucciole eravamo tutti noi che, in quel mondo, sapevamo divertirci e sognare a stretto contatto con la Natura e spesso, senza saperlo, parte integrante della Natura stessa. Un mondo pressoché scomparso, purtroppo.

  1. Qual è l’idea rappresentata attraverso Clemente, il protagonista?

Clemente è l’Ulisse o, più semplicemente, il pendolare che, dopo aver vissuto altrove per vari motivi, torna a casa. È il velletrano che, seppur dovendo passare gran parte della sua vita altrove per motivi professionali, ha sempre la sua città natale nel cuore e fa di tutto per farvi ritorno per sempre. Per usare un’immagine ittica, è il salmone che, dal mare, risale i fiumi e i ruscelli per garantire il futuro della specie, anche se sa che per farlo morirà. È l’istinto al quale non si può e non si deve resistere. Al termine del testo teatrale, si capisce che Clemente scopre qualcosa di fondamentale sulle sue origini.

  1. Anche se si tratta di un esperimento, permangono la forte componente autobiografica e la ricerca, che caratterizzano la tua scrittura. Tratti una tematica delicata come la disabilità considerata un tabù dalle famiglie, soprattutto nelle generazioni precedenti alla nostra. A chi dedichi questo libro? Che ricerche hai fatto?

C’è una dedica forte e chiara, prima dell’inizio del testo: ‘A zia Maria, inghiottita da Roma’. Lei, disabile tra cinque sorelle nate, vissute e cresciute in una capanna tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in più con una gravidanza da nascondere, è l’emblema di una mentalità retrograda e spietata, le cui decisioni venivano spesso condizionate dalla paura della fame e quindi della morte. Era una zia materna di mio padre che, nata nel 1898 e morta nel 1967, passò gran parte della sua vita in manicomi romani, senza che nessun parente si fosse interessato di lei e del suo eventuale figlio. Ho compiuto le mie ricerche a Roma, nell’archivio del cimitero del Verano, che mi hanno portato, a ritroso, in un istituto che accoglie tuttora donne problematiche e, prima ancora, al manicomio di Santa Maria della Pietà, a Monte Mario.

  1. Hai già in mente di far rappresentare “Ladri di lucciole” in teatro?

Quello che dovevo fare l’ho fatto, ossia pubblicare questo testo teatrale. Non è compito mio organizzarne una rappresentazione teatrale, anche se la trama ha molto di cinematografico. E poi c’è il problema del dialetto velletrano, molto presente nel testo e praticamente la spina dorsale dei dialoghi: i giovani sanno parlarlo in pochi e sempre meno. Tutto è possibile, ma intanto spero che il lettore si crei il ‘suo’ film o la sua ‘messinscena’ mentre è immerso nella lettura. In fondo, il miracolo della letteratura è proprio questo: creare emozioni.

  1. Ritorniamo alla componente dialettale: quanto è importante, in ‘Ladri di lucciole’?

Direi che è fondamentale: il dialetto velletrano è una lingua vera e propria, che talvolta con un semplice monosillabo riesce ad esprimere intere frasi di senso compiuto. Credo sia la componente animale più autentica della comunicazione, che in origine doveva basarsi su vocali ‘sparate’ tra gli interlocutori. Il dialetto sa esprimere sentimenti e non va relegato soltanto nella sfera della comicità, ma va ‘sdoganato’ nel contesto drammatico e tragico. Proprio in questo sta la mia sfida: sdoganare l’uso teatrale del dialetto come lingua che sappia esprimere alla perfezione concetti drammatici e tragici.

  1. Quando ci sarà la presentazione ufficiale del libro?

Dopo il video-intervista pubblicato lunedì 13 u.s. da Ferdinando Mariani, che ringrazio con tutto il cuore insieme ai suoi assistenti, “Ladri di lucciole” verrà presentato presso il CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) di Velletri lunedì 27 febbraio p.v. alle ore 17, a cura dell’UniTre.

Le copie di “Ladri di lucciole” sono disponibili in formato cartaceo presso la libreria Numero 6, in Via Croce 6 a Velletri.

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