Del mito di Icaro esistono varie versioni e interpretazioni. Nessuno gli ha mai chiesto la sua testimonianza? Cosa provasse? Era davvero solo un giovane ambizioso, che ha osato sfidare la sorte oltre le possibilità della sua conoscenza? O c’è dell’altro?
Perché io sono sicura che al di là di quel che è stato raccontato, dopo tante morti, Icaro ce l’ha fatta a “toccare” il Sole, nel momento perfetto d’incontro. Perché lui non si è mai arreso.
Quella che segue, è solo una mia versione del mito, sotto forma di poesia.
LA TESTIMONIANZA DI ICARO
«Il mito ha fotografato una folle conseguenza.
Io vi porto della causa, la mia testimonianza.»
Osai
per amore della libertà
d’esser me stesso.
Mollai
i fili del labirintico percorso
d’una storia già scritta e ripetuta.
Volai
verso la luce del Sole,
per una conoscenza superiore
che mi conferisse velocità e vista d’aquila.
Spinto
da incontenibile entusiasmo,
trascesi talmente il senso della misura
che alla luce guida del Sole
si sovrappose l’accecante ambizione.
Che dire a mia discolpa?
Fui forse colpevole
d’un eccesso di curiosità?
Le ali mie compagne
furono un dono di mio padre
Dedalo, noto inventore.
Esse calzavano esattamente la mia giovine età.
Non sostennero il peso piombino
della quantità d’ignoranza bestiale
che ancora mi portavo dentro
e a cui dovetti morire
precipitando nel mare dell’Anima.
Il Sole, testimone dei miei natali,
aveva sciolto la cera, instabile sostegno,
per ristabilire l’equilibrio
reclamato dai ritmi di crescita
che Natura vuole.
Così affogai in quella distesa.
Quel che nessuno sa
è che in un tempo e in un luogo
riemersi con una laurea per la pronta maturità,
sigillata dalla ceralacca.
Le mie scapole, dunque,
furono ali adatte a sostenermi,
alleggerito del piombo,
dopo che io e il Sole avevamo brillato
insieme d’un unico splendore.
All’Icaro in ognuno di noi.
Serena Derea Squanquerillo (Da “Fatti diVersi”).
Dipinto: Acrilico e additivo materico su tela, 70×100 cm.
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