Intervista al musicista Marco Lo Russo

Marco Lo Russo - ph Marcin Brzo_zka

Per la sezione interviste del mio blog, oggi ho il piacere di avere con noi il Maestro Marco Lo Russo, in arte Rouge, musicista fisarmonicista, produttore e docente di conservatorio. Marco è un performer di fama nazionale e internazionale ed è qui con noi per parlarci della sua arte musicale e di come questa sua passione sia diventata la sua amata professione. Tra le varie collaborazioni, c’è quella con il Maestro Nicola Piovani, Oscar per il film “La Vita è bella”, e con Leo Brouwer. Ha avuto riconoscimenti importanti anche dal Maestro Ennio Morricone, di cui ha omaggiato il repertorio.

S.: Ciao Marco, benvenuto e grazie di essere qui a “DialogArti”. Vuoi raccontarci come hai scoperto la passione per la musica e quando hai capito che era il “tuo mondo”?

M.: Ciao Serena, ciao a tutti. Grazie per l’invito, è un piacere. Dunque, io sono una persona timidissima in realtà, nonostante mi piaccia stare sul palco e mi trovi a mio agio. Però vengo da una situazione in cui ero enormemente raccolto in me stesso e chiuso, e la musica è diventata il mezzo espressivo della mia interiorità, che altrimenti sarebbe rimasta celata dietro la timidezza e un blocco emotivo.

S.: Come mai hai scelto il nome d’arte “Rouge”?

M.: Be’, innanzitutto, mi piaceva l’idea del rosso e della ricerca del colore come elemento terapeutico, come è stato per altri artisti. Quando ero più giovane ho fatto diversi esperimenti, suonando lo stesso pezzo con un’illuminazione e colori diversi in una stanza, processo che portava me stesso in stati d’animo diversi. Sono molto legato al rosso, che è presente nel mio logo così come il bianco e il nero, che, come ho scoperto successivamente a Cuba, sono colori presenti nella cultura della Santeria per cui c’era un legame tra colori e religione.

S.: Ho capito. Ascolta, Marco, ascoltandoti in alcune tue dichiarazioni precedenti, ho notato quanto l’elemento emozione, la parola stessa, sia costantemente presente in ciò che comunichi, un file rouge che collega quello che condividi con il pubblico. Immagino, quindi, l’impatto emotivo che tu hai avuto quando ti sei esibito per la prima volta davanti ad altre persone. Come è andata? Come hai affrontato la possibilità di dover improvvisare ma anche il timore del giudizio? Hai scoperto che l’emozione poteva essere tua alleata?

M.: Allora, guarda, come dicevo io ero molto insicuro e pensavo di non essere mai pronto. Un giorno, avevo circa sedici anni, Siviero, il mio maestro di allora a Latina (dove Marco è nato ndr), che mi ha dato i primi rudimenti di fisarmonica prima del conservatorio, mi ha detto “C’è una festa di carnevale dove non posso andare, per cui devi andare tu”. Panico! Non volevo andare. Finché dopo l’amorevole “minaccia” di mia madre di vendere lo strumento che per me era importante, mi sono deciso ad andare nonostante il malessere e la paura del giudizio. La produzione di adrenalina della messa in discussione è diventata d’improvviso una molla che ha creato il vortice che mi ha dato la spinta e mi ha messo a mio agio. Da lì, ho capito che l’emozione è qualcosa che posso gestire, soprattutto dopo che ho compreso che non suono per me, ma per gli altri. La mia missione non è quante note faccio o qual è il pezzo più bello, ma vedere Serena o gli altri spettatori andare a casa con un sorriso, un’emozione positiva. Quello è stato il momento di sblocco, anche se sono sempre molto emozionato. La musica stessa è, per me, un contenitore di emozioni.

S.: Marco, lo strumento protagonista della tua musica è la fisarmonica. Come mai hai scelto questo strumento, che comunemente associamo alla cultura popolare, e che cosa vuoi comunicare con la tua arte?

M.: Quando avevo sei, sette anni mi sono trasferito da Latina a Sermoneta, in aperta campagna. Non avevo amici con cui giocare. Andavo a scuola e il pomeriggio me ne stavo a casa e, una volta finiti i compiti, diventava un po’ dura. Finché il mio maestro di allora ha istituito dei corsi di musica pomeridiani. Lui, che suonava la chitarra, ha detto ai miei genitori che secondo lui ero molto portato per la musica e quando loro mi hanno chiesto che strumento volessi suonare, io ho risposto: “A nonna (materna) piace la fisarmonica”. Così ho iniziato quasi per gioco con questo strumento portatile, che era diventato la mia compagnia pomeridiana. Dopo i compiti accendevo la tv e, guardando i cartoni animati, automaticamente riuscivo a riprodurre le sigle. Da lì a poco avrei vinto un concorso, cosa che mi ha gratificato tanto da spingermi a continuare fino agli studi in conservatorio. Ho capito che non bastava studiare lo strumento, bisognava studiare la musica e quindi la composizione. Ho studiato al conservatorio la fisarmonica che, come giustamente dicevi tu, è conosciuto come strumento popolare, ma che in realtà è nato negli ambienti colti di Vienna.

S.: Marco, tu stai contribuendo a diffondere la cultura della fisarmonica tra un pubblico che è molto eterogeneo e sei anche ambasciatore della musica italiana all’estero attraverso l’iniziativa “Made in Italy”.

M.: Sì, io mi sono ritrovato a chiudere una settimana della cultura italiana a Cuba, che era stata aperta da Uto Ughi. L’ambasciatore italiano a Cuba di allora, Robustelli, mi ha detto che avremmo dovuto organizzare un concerto, con un progetto che io ho voluto chiamare “Made in Italy” proprio come un omaggio all’italianità che mi portavo dietro già da un’esperienza in Canada a sedici anni, per appunto omaggiare il nostro immenso patrimonio musicale e culturale. Questo progetto si è poi allacciato a un “Made in Lazio”, perché ci sono stati dei Comuni come quello di Priverno, e altre realtà locali come la Compagnia dei Lepini che consorzia i Comuni della provincia di Frosinone, Latina e Roma, che insieme all’Associazione “Marco Lo Russo Music Center APS”, che si occupa di promozione sociale e che presiedo, hanno realizzato alcuni video emozionali che raccontano particolari storici, architettonici e paesaggistici con mie colonne sonore originali. La cosa bella è che ha funzionato, perché sono arrivate persone della provincia e della regione che non conoscevano certi luoghi, ma ancor di più perché sono arrivate persone dall’estero.

S.: Per quanto riguarda la tua attività di produttore e le tue collaborazioni, tu hai lavorato, ad esempio, con Nicola Piovani per il film “La vita è bella”. Ci parli di questa collaborazione con il Maestro?

M.: Questo Oscar è stato veramente emblematico per il Maestro e per Roberto Benigni, e io ho avuto il piacere di affiancarlo per molto tempo anche per un musical e altri progetti cinematografici. Sono persone che mi hanno insegnato tantissimo.

S.: Immagino, davvero. Oltretutto hai avuto anche riconoscimenti importanti dal Maestro Ennio Morricone, che hai avuto modo di omaggiare con un suo repertorio rappresentato con l’orchestra, ad esempio, a Seoul.

M.: Sì. Il progetto “Made in Italy” è arrivato anche in Corea, a Seoul, occasione in cui è stato realizzato un omaggio al cinema italiano, prevalentemente con un repertorio di Morricone, che ho riarrangiato accompagnato da un’orchestra giovanile coreana. Ulteriore prova di promozione della cultura italiana all’estero, così come è stato in Gabon e a Cuba, dove c’è stato il collega David Blanco, rocker famosissimo, che era eccitatissimo di cantare “Caruso” in una versione fusion che abbiamo realizzato ed eseguito a L’Avana, a Plaza Vieja.

S.: Tu hai avuto modo di esibirti davanti a due Papi, Benedetto XVI e Francesco, con un’”Ave Maria” da te scritta e arrangiata. Come è stato?

M.: Sì! È un’”Ave Maria” che ho scritto per Papa Francesco. È nata in un momento particolare. Mi trovavo nel 2016 alla Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia e sono rimasto molto colpito dalla suggestione di un dipinto che era in un convento e decisi di comporre questa “Ave Maria”. L’anno dopo l’abbiamo eseguita in prima mondiale, la notte di ferragosto, a Cracovia. È stata un’emozione indescrivibile. Ovviamente abbiamo anche omaggiato Papa Francesco, perché era dedicata a lui. Ho trovato un giovane soprano, che è Martina Mannozzi che ringrazio, con cui abbiamo girato un videoclip all’Abbazia di Valvisciolo (vicino Sermoneta ndr) insieme al collega pianista, Giulio Vinci, col supporto di Padre Massimo. Ho scelto una giovane soprano perché l’obiettivo era di miscelare la voce giovanile con il suono della fisarmonica, senza dare un accento troppo lirico.

S.: Bene, Marco, noi abbiamo parlato un po’ di quelle che sono alcune tappe essenziali della tua esperienza umana e artistica. Parliamo ora di generi musicali. Tu ami spaziare molto, ma quali sono i generi che senti più nelle tue corde?

M.: Be’, sicuramente la musica, i linguaggi d’improvvisazione, dal Jazz alla World Music. Voglio, però, sfatare un po’ questa cosa della catalogazione della musica. È un limite, perché noi umani abbiamo bisogno d’incasellare ogni cosa. Non è che un Miles Davis arriva e dice “Ecco ora m’invento e faccio il Cool Jazz…”. No, non funziona così… funziona che uno prende e suona. Diciamo che, per me, la musica esiste in due grandi filoni: la musica da esecutore, che si è sviluppata dall’Ottocento in poi, e quella da improvvisatore. Anche i musicisti classici, prima di quel periodo, improvvisavano, quindi l’improvvisazione fa parte di un modo d’esprimersi. L’ingrediente ulteriore che, se vuoi, amo mettere è l’elettronica, il contaminare con determinati campioni e amo fondere musica e immagine, anche perché quando scrivo musica, immagino sempre qualcosa.

S.: Marco, approfondiamo il tuo rapporto umano e culturale con Cuba. Tu hai partecipato, tra l’altro, alla realizzazione della colonna sonora del film “La Machetera” di Yanet Pavón Bernal. Ce ne parli?

M.: Allora, questa è una promessa che ho fatto alla produttrice, Esnedy Milàn Herrera, che ho conosciuto nel 2007 al Teatro dell’Opera di Roma, dove io ero un solista e lei un’attrice. A lei piace molto scrivere e questo (“La Machetera”) è un progetto impegnato sulla legislazione, sui diritti delle donne, tra cui il diritto al voto negli anni Settanta a Cuba. Mi disse “Marco, il cast è internazionale, gli attori sono tutti cubani, ma tu sei l’unico musicista, secondo me, che può cogliere le sfumature che servono, perché sei stato un migliaio di volte a L’Avana”. Loro, come noi, hanno tutta una retrocultura che, per intenderci non è solo “Chan Chan”, ma anche quelli che possiamo paragonare ai nostri stornelli, che cambiano a seconda della località, delle inflessioni dialettali, che raccontano una storia con un “dico-ma non dico”. Molte delle esecuzioni sono state fatte proprio a L’Avana con molti rumori di fondo – i mezzi erano ridotti -, che poi sono stati coperti. Nonostante questo, parliamo di un film poi ha vinto nel 2021 a Los Angeles come miglior film internazionale e al Monaco International Film Festival per la colonna sonora. È un progetto di cui sono molto orgoglioso.

S.: Per quanto riguarda la tua attività di docente, tu insegni al Conservatorio “Domenico Cimarosa” di Avellino. Com’è il tuo rapporto con i tuoi studenti?

M.: Esatto, io attualmente sono titolare di cattedra di orchestrazione e composizione, e storia del Jazz, al conservatorio di Avellino. Ho molti studenti. Chi studia basso elettrico o altri strumenti o studia canto, poi viene a fare arrangiamento con me. Così come chi studia composizione Jazz, poi viene a fare composizione da film o direzione d’orchestra Jazz. Ci sono ragazzi dai venti anni in su, anche miei coetanei, adulti, con cui c’è un rapporto molto bello, trasparente. Capita qualcuno che possa avere difficoltà emotive, come è stato per me, per cui cerco di stimolarlo ma soprattutto cerco di capire la sua chiave. Non è tanto la lezioncina, la spiegazione, perché ormai oggi trovi le informazioni anche su internet e sui libri, ma è trovare un senso a quello che si fa, che va trovato prima di tutto dentro di noi. Se tu trovi quel senso, tutto diventa un mezzo. È un mezzo anche per autoconoscersi e autocurarsi, se serve. Sono ragazzi che fanno Laurea di Primo Livello, Biennio di Secondo Livello, Triennio.

S.: Marco, quali sono i tuoi prossimi impegni musicali?

M.: Dunque, ci sono diversi eventi in programmazione, che si stanno ancora definendo. Posso intanto segnalarvi “Corpi e Note”, una Live Jam Session tra musicisti e danzatori in cui suonerò la fisarmonica. Si terrà giovedì 18 maggio alle ore 21, al Teatro Tor Bella Monaca di Roma.

S.: Chi vuole seguire le tue attività, può seguire allora il tuo sito.

M.: Sì, approfitto per comunicarvi che è online il mio nuovo sito www.marcolorusso.it. Poi ci sono i canali social.

S.: Benissimo, Marco. Io ti ringrazio molto per la tua disponibilità e per questa bellissima e interessante condivisione con noi. Un’ultima domanda per congedarci e lasciare un regalo a chi ci legge. Se dovessi esprimere che cos’è per te l’amore, quale tua composizione sceglieresti?

M.: Forse “Moments in life” dall’album Modern Accordion. L’ho scritta in un mattino in cui mi sono svegliato e da una finestra ho visto questa goccia d’acqua che cadeva dalla grondaia. Il brano parte proprio così, con una goccia che cade… quindi l’idea del tempo naturale che viene scandito da una semplice goccia d’acqua.

Sito: www.marcolorusso.it
Pagina Facebook: Marco Lo Russo Rouge Sound Production
Pagina Facebook dell’Associazione: Marco Lo Russo Music Center APS
Profilo Instagram: marco_lo_russo_rouge
Youtube: Marco Lo Russo

Foto di copertina: Marco Lo Russo – ph Marcin Brzo_zka

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