I SenzaTetto di San Pietro in Vincoli

I Senzatetto di San Pietro In Vincoli

Ero in San Pietro in Vincoli, nel rione Monti di Roma. Stavo camminando lungo la salita scandita dagli interminabili ed impegnativi scalini che portano alla Basilica, sita in uno dei punti più alti della città.

Come passaggio d’obbligo, una galleria al fondo della quale s’intravedeva una luce che avrebbe stimolato la poesia in un romantico o l’ironia in chi cerca la famosa “luce in fondo al tunnel”, come risposta ai suoi problemi…

Man mano che mi avvicinavo al tunnel, dal buio emergevano davanti ai miei occhi due SenzaTetto, un uomo e una donna, seduti nell’ombra del lato destro della galleria, con le loro buste piene del necessario.
I due erano impegnati in una conversazione sottovoce, quasi in segno di rispetto verso il silenzio che avvolgeva il luogo. 

Sono entrata nella galleria con discrezione perché mi sembrava di invadere il “loro” salotto, ma passandogli accanto sono stata accolta dal loro gentile saluto.
Mi sono fermata e guardando prima l’uno poi l’altra negli occhi, ho notato in essi una nobiltà semplice e pulita, e la compostezza di chi sa ben padroneggiare la presenza in un ambiente.

Nel ricambiare il loro saluto, il mio cuore ha sussultato in un modo che mi è assai familiare e che si manifesta quando, nel connettere i miei occhi a quelli dell’altro, riconosco quello che io chiamo “lo sguardo dello Spirito”. Una luce ed una Presenza che conducono la percezione in uno stato al di là del tempo e dello spazio. 

“Due SenzaTetto”, ho pensato. Nessuno di noi auspica per sé una simile condizione, eppure mi  sono fermata e, per quello che è sembrato un attimo, mi sono accorta di  quanto quell’uomo e quella donna fossero liberi.

Non è una situazione facile, certo, perché è come vivere in un totale anonimato senza che il mondo sembri accorgersi di te, ma ho sentito i due liberi dal dover recitare copioni per rispondere ad aspettative. Liberi dal rendere conto ad un Sistema di chi  fossero, di cosa facessero. Liberi dall’essere confinati nei comparti stagni di impegni quotidiani “monitorati” in base al motto “tempo=denaro”.

Dopo aver ripreso a camminare verso la Basilica del Mosè di Michelangelo, ogni tanto mi voltavo per ammirarli, mentre avevano ripreso il loro dialogo sussurrato.
Di cosa stavano parlando?
Avrei voluto conoscere le loro storie.

Vivere per strada… quante vite vissute tutte assieme? Quanto avrebbero i due potuto insegnarmi sulla loro osservazione del mondo e dei passanti?

Mi piacerebbe molto, un giorno, intervistare Maria, Tullio, Paola e Omar per scrivere le loro storie impresse del coraggio di vivere quotidianamente nell’incertezza, o meglio  con l’unica certezza  del cambiamento frequente e – forse – della opportunità di dover necessariamente allenare ogni istante lo stato di presenza, per accorgersi di esserci e saper organizzare le risorse per evitare gli imprevisti e le minacce “della strada”.

Ricordo chiama ricordo

Mentre scrivo, mi torna in mente la signora pensionata incontrata alla stazione Termini qualche anno fa. Si è fermata a parlare della sua vita con me che attendevo il treno per tornare a casa.

Era sola ed aveva perso il suo appartamento per le ristrettezze economiche.
La sua casa era diventata il carrello su cui erano posate le valigie con cui girava, tenendolo quasi fosse ormai una sua estensione.

E ancora ricordo il SenzaTetto che seduto fuori in un angolo nascosto della stazione, mi ha chiesto che ora fosse tra l’indifferenza degli altri passanti. Lo ringrazio per essersi reso visibile a me.

E ancora ricordo il barbuto signore maturo sulla carrozzella che si appostava in punti strategici all’interno della stazione, per richiedere qualche soldo.

Ogni tanto mi fermava perché portassi a ricaricare il suo cellulare “da guerra” tenuto insieme da un doppio elastico, presso il più vicino negozio di telefonia. Da qualche anno non lo incontro più.

Sono sicura che questi Maestri della strada saprebbero raccontarci molto di noi passanti distratti e sempre di fretta, trascinati da “un dove e un quando” segnati sull’agenda.

Enciclopedie viventi, esperti di strategie di vita. I SenzaTetto sono case aperte al cielo ed itineranti sulla terra. La stazione, un nodo di scambio di storie viaggianti.

Ricordo bene l’uomo e la donna seduti sulle scale di San Pietro in Vincoli.
Si chiama così la Basilica del posto, che deve il suo nome alle catene (dal latino vincula) lì conservate e che, secondo la tradizione, furono utilizzate per legare S. Pietro durante la sua prigionia a Gerusalemme.

Io amo le stazioni.

Foto: Serena Squanquerillo. Nella galleria, a destra e nell’ombra s’intravede la busta dei due viandanti prima che emergessero davanti ai miei occhi.

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