Venerdì 15 novembre, alla Galleria André di Roma, in via Giulia 175, si è tenuto l’evento di Finissage della mostra “La mappa smappata” di Giancarlino Benedetti Corcos, alias Giancarlino, che sarà ancora visitabile martedì 19 e mercoledì 20 novembre. Un percorso immaginifico che l’artista ha dipinto per Roma e i “labili (e ribelli) confini” delle sue mappe del mondo.
Molta affluenza di pubblico, artisti e addetti ai lavori all’evento di Finissage, dove tra le tele ad alternarsi due performance: “La mappa smappata: le mappine” in cui gli attori Massimo Fedele, Alessandra Vanzi, Michela Caruso, Giuseppe Alagna e Rossella Or hanno letto, o meglio interpretato, la ‘critica stereografica’ di Achille Bonito Oliva e lo scritto dello stesso Giancarlino, e la coreografia “Sisifo” della ballerina italo-ecuadoregna Giulia Alvear.
Giulia Alvear – tecnica e professionalità, in una fusione tra danze urbane e danza contemporanea, dichiaratamente poste al servizio dell’improvvisazione e dell’espressione artistica, ha danzato, senza musica, intorno alla mappa concettuale di Giancarlino su “I confini”, di essa esplorando questo tema e accanto quello del Mito di Sisifo, divenuto simbolo di resistenza, perseveranza e accettazione della vita nonostante le difficoltà e in mancanza di un senso oggettivo.
Scavalcando, come in un viaggio, i limiti interni (del corpo) e esterni come lo spazio limitato della galleria, tra il suo dentro e il suo fuori, utilizzando una maschera e un mondo di cartapesta, la ballerina ha tradotto e restituito a presenti i vari passaggi e le simbologie del poliedrico e fantasmagorico scritto: le mappe e chi le governa, micro e macrocosmi, confini astratti e confini reali, rigidi o labili, geografia e letteratura, Marco Polo e la sua nave, Achab e Melville, guerra e pace, città e porti, rane e stagni, segni zodiacali e stemmi … fino in Alaska e poi in Kamchatka, sempre più in alto “da dove riusciremo a vedere, dopo il buio”.
E così, “La bellezza è una promessa di felicità e per un periodo anche prolungato questa è stata anche la definizione che ha connotato i giudizi sull’arte, che è diventata “Belle Arti””. Il supporto di questa bellezza sono le mappe che a Napoli diventerebbero “mappine” cioè a dire delle mappe scontornate imprevedibili fatte di rifiuti e di resti che circondano questa definizione … quindi la mostra è una mostra di “mappine”, che ha la capacità di affrontare anche il tema della Bellezza accettando la possibilità di essere definita con un termine che non è la bellezza ma la Bruttezza, ma bruttezza dovuta al fatto che queste mappe divenute ormai mappine… sono i resti che riguardano sia il nostro tempo sia la… (se si può dire)… la rappresentazione di una catastrofe che riguarda il tempo… – scrive sulla mostra il critico Achille Bonito Oliva –… “mappine capaci di documentare le diffuse rovine che ormai abitano il nostro mondo”.
Mentre gli fa eco così Giancarlino: “Le Mappe si ribellano quando i confini vengono dettati dalla Guerra. Si cancellano, si nascondono, forse per non farsi più vedere. Si cancellano i binari, i confini. Per far posto a odi, forse eterni, che ci piegano. Un trauma assoluto, solo Sisifo accorre in riparo. Lui, che tutti dicono sofferente, in realtà è felice di fare la sua opera, da lontano. Dall’alto vede il panorama e confini dettati dalla pietra che rotolando segna sempre nuovi tratti, nuovi confini aperti, non gestiti dal Male del mondo. Più in basso la casa del Giullare Terpandro che danza per cercare una casa lì vicino, cercando la sua amata, Verina. Un po’ più sotto dei balli di parole. Terpandro e Verina anche loro tracciando confini nella terra flebile verso il Teatro del Sole e dell’Ombra”.
Tele ovunque nello spazio della galleria, anche in terra e sul soffitto, in un controllato disordine. Quelle su Roma rappresentano in ordine sparso i principali monumenti iconici della città eterna, dove “in alto, come in cielo, figurano campiture dorate, mentre scendendo gradualmente verso il basso predomina una accentuata tonalità scarlatta. L’oro e la porpora sono i colori del gonfalone della Capitale. L’oro è quello della Roma pulcherrima; il rosso è invece il sangue dei suoi abitanti. Presenti e passati. Vittime ed eroi. Attraverso la rappresentazione di questi conflitti Giancarlino chiama in causa la presenza attiva dello spettatore cui spetta, in ultima analisi, ricomporre l’infranto; favorendo e assecondando personali percorsi emozionali” (Lucio Altarelli).
Ma in mostra anche le mappe smappate, le sue serie di fiori ripetuti e le sue stilizzate figure femminili dai capelli neri. A documentare una volta di più la sua “pittura veloce… che nella velocità felice, come in un paesaggio visto a 300 km all’ora, unisce astratto e figurativo. Immanenza, di solito color oro, e trascendenza, sempre colorata. Quella velocità interattiva fornisce interpretazioni drastiche e fiere alla vanità dello spettatore, che coglie ciò che forse anche il pittore avrebbe perso, secondo lui, in una fugace creatività” (Geri Morellini).
Su tutto, i colori di Giancarlino. Colori che, raccontava lo stesso artista durante il Finissage, non vogliono essere irrispettosi, quando ciò di cui si vuole parlare in questa mostra sono anche le guerre, i traumi e le altre “rovine” del mondo contemporaneo. Ma i colori come veicoli, piuttosto, di un resiliente ottimismo, di più, di una speranza, in un mondo migliore.
Dal comunicato dell’Ufficio stampa Diana Daneluz.
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