Lettera da Lecco. La contemplata attesa

Lettera da Lecco, La contemplata attesa

Lecco, giovedì 12/09/2024

Amo il movimento, il cambiamento; amo viaggiare, ma spesso, dopo qualche giorno fuori dal mio ambiente, sento la nostalgia di casa, del luogo dove sono le mie radici. Questa volta è diverso.
Dopo tre giorni di soggiorno, l’idea che oggi sia il mio ultimo giorno a Lecco, che visito per la prima volta, mi rattrista molto, perché guardo questo lago dalla forma a Y e già mi manca. È un luogo a cui sento di corrispondere.

Io mi sposto indietro e torno a sedere accanto alla colonna.

Sono sul Lungolago di Lecco e cammino attraverso i giardinetti che portano ai cancelli-senza cancello, come li chiamo io, che affacciano sul lago. C’è un giovane uomo senza tetto seduto su una panchina; se ne sta in silenzio con lo sguardo verso il basso, forse in attesa di una svolta per concludere la giornata.
Passo davanti a “La Grande Ruota”, la ruota panoramica che di giorno gira lentamente scandendo il suo procedere, mentre ora è ferma e sembra in attesa di riprendere l’attività, accanto al monumento ai Caduti della Prima Guerra Mondiale, con l’altissima statua femminile raffigurante la Patria, dalle ali ripiegate, il volto verso l’alto, sita proprio in corrispondenza dell’apertura del cancello principale aperto sul vuoto, oltre il quale c’è quella magica distesa d’acqua.

Io mi sposto indietro e torno a sedere accanto alla colonna.

Mi siedo con la schiena poggiata su una delle colonne, uno dei due “uno” appartenenti al cancello-senza cancello sulla sinistra, dopo aver sperimentato la visuale anche da quello di destra e quello al centro, il trono, nei giorni precedenti. Qualche metro più in là rispetto a me, c’è un giovane pescatore che ha gettato l’amo della canna e attende di tirare su qualcosa, forse un’ombrina, pesce tipico del lago. Insomma, tutto e tutti sembrano in attesa di qualcosa. Io sono qui che attendo il tramonto.

Sento una forte emozione e poi una grande connessione con l’elemento acqua di quel magico lago, la terra delle montagne davanti e intorno, il fuoco del sole, che procede a nascondersi dietro alla grande montagna a ovest, mentre il vento che annuncia l’approssimarsi dell’autunno mi porta a respirare a pieni polmoni.

Sento una grande spinta a spostarmi oltre quella colonna, attirata dal magnetismo di quella grande distesa che per un gioco di luci appare blu. Così vado oltre e vengo colta da vertigini. Mi ritrovo con le gambe sospese sul vuoto. L’acqua non è alta, ma quel magnete acquatico sembra volere spogliarmi di tutto ciò che è accessorio o non serve; sembra voler strapparmi il cellulare di mano e lo zaino.

Sono in uno stato di stupore che mi commuove. Mi sento liberata di qualcosa, immersa in un “luogo” che percepisco come infinito; così misterioso alla mia mente, conosciuto al cuore. Mi guardo intorno e mi accorgo che tutto mi parla. Mi rendo conto di simbologie Sacre e Spirituali che conosco e riconosco. Sono in profonda connessione con la mia interiorità, come quando sono in meditazione.

Volgo lo sguardo alla mia destra. Una barca a vela, lontana, pigramente naviga lungo un ramo del lago che sembra senza fine, accompagnata dal volo di uccelli. L’acqua sotto ai miei piedi urla un Silenzio che risucchia e assorbe in sé il superfluo, come una risacca. Solo sul lago di Bled, che tanto amo, in Slovenia, ho provato una sintonizzazione interiore di questo tipo sull’isolotto con la Chiesa dedicata all’Immacolata. Un luogo dall’energia femminile molto potente, mentre qui ne riconosco una più maschile. Entrambi i posti hanno scale che scendono e vanno a immergersi nella riva del lago, come radici. Io amo sedere lì; sembra di essere seduti su un trono.

Mi ritrovo in un “lungo momento” fuori dal tempo, Sacro, Mistico, di connessione con il Tutto di ciò che conta. Presto, mi accorgo di non essere sola in questo. Il sole ormai è quasi del tutto dietro alla montagna difronte a me e la luce che ancora si vede, gioca con le ombre.

Mi volto a sinistra e vedo arrivare verso di me una ragazza indiana in attesa di un bambino; ci guardiamo negli occhi e ci sorridiamo. Entrambe sappiamo che stiamo vivendo qualcosa di bello. Lei scende le scale e, dopo essersi tolta le ciabatte, entra con i piedi in acqua poggiandoli sul primo scalino immerso. Proprio in quel momento, mi sembra di vedere una di quelle scene in India, in cui le persone scendono le scale fin dentro al fiume Gange, per i rituali induisti di purificazione. La osservo entrare in comunione con l’elemento; sta con gli occhi chiusi, mentre la madre le fa una foto dall’alto, vicino alla colonna opposta alla mia.

A questa scena, ne segue un’altra di egual forza. Alcune giovani ragazze musulmane – lo capisco dal velo che indossano – si avvicinano al cancello-senza cancello, meravigliate dalla bellezza di questo tramonto atteso. Io le guardo, anzi le vedo semplicemente, perché sto in contemplazione. Non è una questione di religione, di dogmi. È l’occhio che si libera di lenti di nebbia.
Attraverso quest’esperienza vivo il miracolo di sentirmi in unione con altre Anime, “spogliate” come me, in un squarcio di tempo-senza tempo, davanti al sole che ci lascia in attesa di un nuovo giorno. Muovo le gambe come i bambini, ciondolandole in sospensione su quel vuoto.

Il mio orologio ora segna le ore 18.56 (11). Suona la campana del Santuario che rompe il silenzio; segue quella della Basilica più lontano; a chiusura, suona la campana della chiesa sulla sponda opposta del lago. È lontana ma la vedo. Riconosco l’energia di una benedizione.

Così, il tempo riprende a scorrere. Si sentono le macchine passare; un clacson; alcuni bambini si rincorrono gridando; le onde dell’acqua, mosse dal vento, fanno rumore infrangendosi sulle scale; “Ffff…”, il vento soffia; “Vale! Vale!”, il pescatore lecchese parla con alcuni turisti cubani; la ragazza indiana va via con la propria famiglia; il gruppo di giovani ragazze scatta fotografie sul percorso del Lungolago, una si aggiusta il velo spostato dal vento.

Io mi sposto indietro e torno a sedere accanto alla colonna. Sono felicemente sconvolta, perché mi accorgo di essere testimone di ciò che per me conta davvero.

Io mi sposto indietro e torno a sedere accanto alla colonna.
La foto scattata da mia madre, dopo che ero tornata a sedermi accanto alla colonna. Ubriaca di bellezza.

Mia madre mi chiama, mi ha scattato una foto. Ora vado a cenare, ho prenotato un tavolo da “Ermete”, mi darà il tavolo numero 11? Sì.

Sono Serena, al cancello-senza cancello 11

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